Racconto horror

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Terrorepauroso
view post Posted on 26/12/2003, 13:38




Era atroce, e al tempo stesso sublime, ammirare l'infernale paradiso inscenato dall'autunno al di là del vetro un po' sporco. Martino fissava, immobile, nel silenzio senza fine che stagnava nella sua stanza, seduto davanti alla finestra. E pensava. In fondo non gli restava altro, da fare, e pensare gli procurava un misto di angoscia ed esaltazione. Le foglie secche frustate dal vento planavano come grigi pipistrelli ubriachi, cozzando le une contro le altre nell'imboccare improvvisi mulinelli d'aria. Il cielo era di un meraviglioso color cenere, verso ovest, una cenere sotto la quale andava morendo una brace sanguigna e tremolante. Spostando lo sguardo verso est, gradualmente, si poteva contemplare invece l'ineluttabile, strisciante avanzare della notte, pronta già ad inghiottire il mondo. Le luci accese, nelle case, erano minuscoli rettangoli intrisi di una serenità struggente, brillanti focolai di redenzione, di pace, di calore... Martino aveva solo la candela, con la sua fiammella malata che saettava e si dimenava, scossa da convulsioni ardenti. Per il resto, la casa era preda dell'ombra, come sempre. L'ombra che impregnava le pareti, che si respirava, che stringeva il cuore. L'ombra di sua madre, persa in qualche stanza. L'ombra della sedia a rotelle, dalla quale Martino non si sarebbe alzato più. Fuori, intanto, i primi fantasmi presero a sfrecciare, in lontananza, come usciti da un sogno ad occhi aperti. E c'erano anche scheletri, streghe, smunti cadaveri ambulanti dalle braccia tese ed il passo incerto. A piccoli gruppi, comparivano e sparivano fra viuzze e cortili, e di quando in quando si fermavano a suonare ad una porta in attesa di ricevere qualche golosità. Martino avrebbe dato chissà cosa, almeno in passato, per essere con loro, per essere uno di loro. A raccogliere caramelle, o cioccolata, o canditi, per poi ritornarsene a casa ed assaporare l'euforia che segue la fruttuosa scorribanda della vigilia di Ognissanti. Ma lui non si era mai travestito, né truccato da mostro; né mai del resto lo avevano invitato, o cercato... Sua madre non glielo avrebbe permesso, comunque. Sua madre... Entrò nella stanza proprio nel momento in cui stava pensando a lei. Martino rimase immobile ascoltando il cigolio della porta, alle sue spalle, che si apriva piano per poi richiudersi con quello scatto pigro che avrebbe saputo riconoscere fra mille. I passi leggeri, un po' strascicati, attraversarono la penombra polverosa, stantia, per avvicinarsi a lui, accanto alla finestra. La donna non disse una parola. Solo, posò una mano sulla spalla del figlio e rimase imbambolata a contemplare l'agonia del giorno rifulgere oltre il proprio volto riflesso nel vetro. Che occhi terribili, aveva... Martino aveva sempre pensato che quelli fossero gli occhi più cattivi del mondo. Ma con il trascorrere degli anni aveva capito che erano solo occhi dolenti, lontani. Il suo era lo sguardo di una persona estranea, di una persona sbagliata. Era malata, nella testa. Come lui lo era nel corpo. E l'esistenza di entrambi era da sempre stata un sonnolento stillicidio di ansie, di solitudini, e soprattutto di silenzi. Sua madre... Non aveva mai accettato l'aiuto di nessuno. sarebbe stato un affronto. Si bastavano a vicenda, loro due. Nella sua testa ovattata di disperazione non c'era mai stato spazio per altro che per sé stessa e per il povero figlio incapace da tenere sempre accanto, sempre protetto, sempre prigioniero. Tutto per amore, naturalmente. Povera mamma... Uno stormo di risatine stridule, infantili, si levò da qualche parte, veleggiando nel vento tiepido. La fiamma della candela si contorse, piegandosi sotto il gravame di pensieri di cui la stanza di Martino era ormai satura. Era l'ultima sera di ottobre. Ed anche la prima di una nuova vita, per lui. Era stato più facile del previsto, tutto sommato. Temeva che sua madre non lo avrebbe accontentato. Invece, tra lacrime e sospiri e preghiere biascicate ad invocare il perdono di chissà quale dio nascosto fra le pieghe della sua misera mente, aveva fatto tutto quanto lui le aveva chiesto. "Vedrai, mamma", le aveva detto. "Mi darai la soddisfazione più grande del mondo. E tutti quelli là fuori, tutti quelli che ci vogliono male, non rideranno più di noi..." E così il giorno si era accartocciato, a poco a poco, su sé stesso, come una pagina ricoperta di folli scarabocchi rossi accanto al fuoco. Piano, ora dopo ora, le ombre si erano insinuate, timorose, all'interno della casa, a contemplare l'opera di madre e figlio, entrambi smarriti senza speranza tra le ragnatele di un lamentoso silenzio. Ti ringrazio, mamma, pensò Martino. Era una strana rivincita, quella, nei confronti di tutti gli amici che non aveva mai avuto, nei confronti di una vita che non aveva proprio più senso, se mai ne aveva avuto uno. Forse le ombre che gozzovigliavano senza rispetto nel cervello di sua madre avevano contagiato pure lui, col tempo. Non ci sarebbe stato da meravigliarsene. E del resto, non gli importava affatto. Sentiva che era stata una scelta giusta. I piccoli mostri arrivarono schiamazzando in un gruppetto sparuto; ma non appena si trovarono sotto la casa di Martino d'istinto abbassarono la voce, scrutando la porta d'ingresso con occhietti cerchiati di nero o infossati dietro mascheroni di cartapesta. Martino sapeva che avrebbero voluto suonare il campanello, ma erano combattuti dalla paura. Paura di sua madre. L'avevano sempre chiamata "la matta", senza mezzi termini. Ma lui aveva smesso di prendersela per quello. Probabilmente si sarebbe comportato allo stesso modo, se fosse stato uno di loro. Però non lo era mai stato, uno di loro, né mai lo sarebbe diventato. Non c'era più modo di tornare indietro. Ora lui si trovava, e per sempre, dalla parte della notte. Osservò quei ragazzini con disprezzo, stemperato appena da una punta di compassione. Sua madre si ritirò nell'ombra, muta, un istante prima che i mostriciattoli sollevassero gli sguardi verso quella finestra. Martino la sentì portarsi le mani al volto, sforzandosi per soffocare i singulti. Non ti preoccupare, mamma, avrebbe voluto dirle. Io sto bene, adesso. Non sono mai stato più felice di così. Ma non poteva ormai più dire una parola. I piedi di sua madre urtarono, indietreggiando, il grosso cucchiaio lordo che giaceva sul pavimento, semicoperto dalla poltiglia rossa e grigiastra sparsa sulla polvere. Il rumore, viscido e metallico, rimbalzò da una parete all'altra, come il rintocco di un campanaccio arrugginito. Anche la seghetta, persa nel buio, non doveva essere lontana. Non ti preoccupare, mamma. Ho voluto io che tu lo facessi. E te ne sono grato. E quando i ragazzini lo videro, finalmente, cominciarono ad urlare. La fiammella, dentro la testa svuotata di Martino, si dimenò all'improvviso, quasi gli strilli l'avessero raggiunta dalla strada. Attraverso le orbite cave la luce ondeggiò ancora un poco, generando due flebili fasci inquieti lanciati a scandagliare la notte. Martino si sentì scuotere da un brivido di esultanza. Sua madre, adesso, rideva e piangeva. Presto sarebbe arrivata gente, certo, ed avrebbero portato via entrambi. Non importava. Martino sarebbe rimasto comunque in quella casa, per sempre, inevitabilmente. Nelle coscienze di quei ragazzini in fuga lui era ormai entrato a forza come il più terribile degli incubi, quelli che non si possono dimenticare. La sua immagine, seduta a quella finestra, il cranio scoperchiato e la candela accesa immersa nella testa scavata come una zucca, con la sua pazzesca luce a baluginare là dove avrebbero dovuto esserci gli occhi, non si sarebbe mai più cancellata dalle loro anime. Sua madre era stata perfetta. mai avrebbe avuto occasione di compiere un gesto più grandioso, memorabile e pietoso in tutta la sua esistenza. Qualunque cosa le fosse accaduta, poi, non avrebbe avuto alcun significato. Alcune foglie morte, simili a mani tronche ed avvizzite, schiaffeggiarono il vetro, quasi a voler scacciare quella follia annidata nella stanza, affacciata malignamente alla finestra. E Martino seppe di appartenere già alla notte, a quella notte, spauracchio eterno e maledetto, per sempre vivente, fulgido e tremendo. Tre, quattro, cinque porte si spalancarono lungo la via, e persone dall'aria confusa ed allarmata risposero agli strilli dei bambini. Tutti guardarono in direzione della "casa dei matti", come era conosciuta, e presero ad avvicinarsi correndo, pronti ad invitare l'Orrore ad avvelenare per tutta la vita i loro sogni.

 
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